Le opere nel Cinema e nella Televisione

Nei confronti della grande vastità di opere composte da Grazia Deledda, cinema e televisione hanno dimostrato un interesse alquanto discontinuo. Inoltre, sono poche le realizzazioni che restituiscono l’opera della scrittrice in maniera adeguata e all’altezza del modello narrativo.

Dei complessivi otto lungometraggi che sono trasposizioni di suoi romanzi o racconti, certamente il più conosciuto e citato è Cenere, 1916, di cui Febo Mari fu protagonista maschile, regista e sceneggiatore, con la decisiva collaborazione di Eleonora Duse, la quale, vera artefice del progetto e protagonista femminile, offre la sua unica performance cinematografica (nel periodo in cui abbandona il palcoscenico, tra il 1909 e il 1921). La Duse pur servendosi anche di alcune delle annotazioni affidategli inizialmente dalla scrittrice, realizzò un film di scarso successo di pubblico, poco apprezzato dalla critica coeva, stroncato in particolare in Sardegna (si parlò di bozzetti da cartolina, da caricatura, anche perché le location non erano nell’isola). Anche se mai troppo apertamente fu disconosciuto persino dalla stessa Deledda, in disaccordo con la lettura effettuata dalla Duse riguardo al suo lavoro, motivo per il quale aveva ricusato di proseguire con il proprio apporto alla stesura della sceneggiatura.

In realtà la realizzazione della pellicola si discosta considerevolmente da quanto l’attrice aveva originariamente concepito. Le copie disponibili del film sono gravemente mutilate e non del tutto attendibili rispetto al contenuto dell’opera completa, tuttavia è possibile evincere che, a differenza del romanzo, l’azione sia incentrata sulla figura dolente della madre – come è ovvio, vista la levatura della primadonna – piuttosto che sul personaggio del figlio Anania.

Mentre la scrittrice era ancora in vita, nell’ultima stagione del muto, venne girato solo un altro film desunto da una sua opera. Si tratta dalla novella giovanile Di notte (in Racconti sardi, 1894), che già nel 1921, con il contributo di Claudio Guastalla e Vincenzo Michetti, era diventato il libretto di un’opera lirica, intitolata La Grazia, musicata dallo stesso Michetti e rappresentata nel 1923 a Roma. La sceneggiatura riprende, fin dal titolo, l’intreccio del testo teatrale piuttosto che della novella, la cui cupa atmosfera (in cui molti hanno visto echi dei racconti dell’orrore di Poe) si addolcisce solo nel finale miracoloso. La pellicola, invece, come il dramma, prevede il compimento della vicenda con un più ampio lieto fine.

La proiezione del film, realizzato nel 1929 con la regia di Aldo De Benedetti, passò in sordina, nonostante alcune buone recensioni, come quella di Alessandro Blasetti, allora critico cinematografico e divenuto poi affermato regista.

Tra il 1946 e il 1954 vengono realizzati altri quattro lungometraggi, che non sono certo considerati capisaldi della storia del cinema mondiale. Le vie del peccato, 1946, regia di Giorgio Pastina, è ispirato alla novella Dramma (della raccolta Il fanciullo nascosto,1916), ma ne accentua la tragicità con il suicidio della protagonista, divorata dalla colpa e dalla vergogna. Il film venne addirittura definito osceno per la presenza di qualche scena considerata eccessivamente erotica.

Con il sottotitolo Delitto per amore e con una grande curiosità da parte della stampa, grazie alla presenza del celebre regista Augusto Genina, nel 1950 venne girata, nei dintorni di Nuoro, la riduzione cinematografica de L’edera. Il personaggio di Paulu venne affidato a Rolando Lupi, un attore molto in auge in quel periodo, che fu un interprete deleddiano anche in televisione per lo sceneggiato ricavato da Canne al vento (1958), mentre Annesa ebbe il volto di un’attrice messicana, Columba Rodriguez.

Nella sceneggiatura non c’è traccia dell’amara conclusione del romanzo, vale a dire il tardivo matrimonio finale fra Annesa e Paulu, autentico periodo di espiazione per il delitto della donna. In effetti del film esistono due copie, ambedue distanti dalla versione letteraria, con un diverso finale: in una Annesa lascia la casa dei Decherchi per non tornarvi più (la stessa scelta si farà successivamente in sede di riduzione televisiva); nell’altra si assiste ad un improbabile lieto fine: Paulu raggiunge la donna in fuga verso Nuoro e le impedisce la fuga, promettendole il matrimonio e una vita insieme sulla strada della redenzione.

È del 1952 Amore rosso, praticamente ignorato da critica e pubblico e tratto molto liberamente da uno dei romanzi più amati della scrittrice nuorese, Marianna Sirca. L’opera letteraria viene snaturata nella sua stessa struttura: l’unico interesse del regista Aldo Vergano sembra essere la truce rappresentazione dei banditi sardi e di una donna che si fa risucchiare dalla vendetta, trasformando una delicata ed infelice storia d’amore in una vera e propria carneficina, più simile al film Duello al sole (Usa, 1946, regia di King Vidor) che alla sua matrice narrativa. Infatti, Sebastiano uccide non solo Simone, ma anche la stessa Marianna, la quale nell’ultimo anelito di vita uccide il suo stesso assassino.

La trasposizione de La madre venne realizzata nel 1954 col titolo Proibito, con la regia di Mario Monicelli e con un prestigioso parterre di interpreti: un sofferto – e, a quanto pare, insofferente - Mel Ferrer, nota star di Holliwood, nella parte di Don Paolo; Lea Massari (che sarà Marianna Sirca in un teleromanzo del 1965) nella parte di Agnese; Amedeo Nazzari, reale promotore del progetto, nel ruolo di Costantino Corraine, acerrimo rivale dei Barras; si tratta di un personaggio inesistente del libro e creato appositamente per lui, ancorché probabilmente ricavato da un altro libro della Deledda, Colombi e sparvieri., in cui le vicende si snodano intorno alla faida tra i Arras e i Corbu, in netta assonanza con le famiglie nemiche del lungometraggio.

In effetti del dissidio morale del sacerdote dilaniato tra la passione e il dovere nel film rimane ben poco e in particolare il tormento della madre eponima perde rilievo a favore di una rappresentazione della Sardegna pittoresca e folcloristica, selvaggia come gli spettatori di oltreoceano si aspettavano.

Dovranno passare più di trent’anni perché il cinema si occupasse ancora di un romanzo di Grazia Deledda, che invece, in questo lasso di tempo (1958 –1986) divenne autrice spesso presa in considerazione dalla televisione: solo nel 1989, infatti, venne girato Il segreto dell’uomo solitario, regia di Ernesto Guida. Una pellicola intimista, tratta da un romanzo intimista che viene rispecchiato piuttosto fedelmente, nel quale le connotazioni ragionali non rivestono un’importanza capitale e in cui manca quindi l’eccesso di pittoresco riscontrabile negli altri film.

Il tormentato protagonista di questa vicenda dai risvolti psicologici ebbe il volto scavato e dimesso di Giulio Bosetti, affiancato da altri validi interpreti.

L’ultimo romanzo finora trasposto per immagini è l’autobiografico e incompiuto Cosima (postumo, 1937). In realtà …Con amore, Fabia, girato nel 1993 per la televisione tedesca dalla regista sassarese Maria Teresa Camoglio, è solamente ispirato alla storia familiare, talvolta drammatica, della Deledda, e presenta più di una variazione e qualche ammodernamento; ad esempio l’alcolismo del fratello diventa tossicodipendenza e Fabia, la protagonista, non aspira a scrivere, ma a diventare scultrice.

Il film, interpretato da attori poco conosciuti, si propone come una storia di formazione, pieno di silenzi e di intense emozioni ed è stato ben accolto dalla critica tedesca e italiana.

La comparsa di opere di Grazia Deledda nella televisione è meno articolata. È significativo che la prima opera trasposta per il piccolo schermo sia quella che da molti è considerata il capolavoro della scrittrice, di cui, fin dalle prime immagini, si ricorda il Premio Nobel, eloquente omaggio agli intenti didattici della televisione dell’epoca. Nel 1958 venne trasmessa, infatti, la riduzione televisiva di Canne al vento, in quattro puntate, ciascuna della durata.di circa un’ora. Pur rimanendo nel complesso piuttosto fedele al romanzo, lo sceneggiatore fece la scelta didascalica di eliminare l’elemento di suspense e di iniziare il racconto con la rappresentazione della tragica morte di don Zame Pintor. Nel romanzo, invece, l’episodio viene raccontato in un drammatico flashback che spiega con un colpo di scena anche il tormentato comportamento del servo Efix.

Successivamente, Lea Massari fu la protagonista, con Osvaldo Ruggeri, Ivano Staccioli e Tino Schirinzi, di Marianna Sirca, uno sceneggiato del 1965 in tre puntate, di cui purtroppo non rimane più traccia nemmeno negli archivi Rai.

Il teleromanzo L’edera, ancora in tre puntate, è del 1974. A differenza di Canne al vento, perlopiù girato in studio, la vicenda viene girata anche in esterni, nella zona di Orgosolo. La sceneggiatura prevede che nel finale Annesa, sopraffatta dal rimorso, lasci il paese senza farvi più ritorno. Questa variazione rispetto alla conclusione del romanzo, in effetti, fa venire meno il significato stesso del titolo: l’attaccamento della serva nei confronti della casa dei padroni – così avvolgente come quello della pianta rampicante – era tale da imporle il ritorno nella casa del delitto, unico vero luogo di espiazione per l’addolorata anima della protagonista. Si potrebbe pensare che la produzione temesse che il matrimonio finale dei protagonisti anziani sembrasse agli occhi degli spettatori troppo poco punitivo, quasi un lieto fine.

Un successivo adattamento televisivo tratto da un’opera della Deledda è una riduzione dalla novella Il cinghialetto (dalla raccolta Chiaroscuro, 1912), trasmesso da Rai Due nel 1981 e della durata di un’ora. Anche in questo caso in sede di sceneggiatura è stata operata una significativa modifica nel finale, forse per evitare di riprodurre la fredda crudeltà infantile presente nel racconto: ad uccidere il povero animale, infatti non è Aurelio, il ricco ragazzino che se ne era impossessato con la forza del potere, ma un suo servo pastore.

Infine, nel 1986, la nota cantante Maria Carta fu chiamata ad interpretare Marianna Sirca, in uno sceneggiato televisivo di Rai Tre intitolato L’isola di Grazia Deledda. La stessa grande interprete della canzone isolana, nel 1992, impersonò proprio Grazia Deledda in una sorta di intervista impossibile curata da Oliviero Beha. La trasmissione faceva parte di un breve ciclo dedicato a sei protagoniste femminili della cultura italiana.

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Unità III

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