Grazia Deledda– Biografia

Grazia Deledda, nata a Nuoro nel 1871, trascorre la sua vita in Sardegna fino al 1900, anno in cui, in seguito al suo matrimonio, si trasferisce a Roma, dove muore nel 1936. Dopo aver collaborato fin da giovanissima a riviste dell’isola e del continente, la Deledda si consacra alla letteratura e scrive regolarmente romanzi e novelle con un buon successo di critica e pubblico. Nel 1926 le viene conferito il premio Nobel per la Letteratura.

Grazia Maria Cosima Damiana Deledda nasce a Nuoro nel 1871. Il padre, Giovanni Antonio, è un agiato proprietario e poeta dilettante; la madre, Francesca Cambosu, è una donna austera e religiosissima, che alleva i sei figli (due maschi e quattro femmine) con severità e rigore morale.
Secondo gli usi del periodo, la piccola Grazia riceve un’istruzione sommaria: interrompe i poco amati studi dopo le elementari e successivamente, ma solo per un breve periodo, prende lezioni private. La sua fantasia fervida la spinge precocemente verso la narrativa e la poesia: nelle sue letture figurano romanzi d’appendice francesi, romanzi storici inglesi, scrittori populisti russi e autori italiani quali Fogazzaro, Carducci e D’Annunzio. La sua formazione culturale, quindi, senza una guida, risulta alquanto farraginosa, fortemente influenzata dalle Sacre Scritture e da alcuni drammatici episodi di vita familiare.

Appena diciassettenne pubblica, nella rivista “Ultima moda” dell’editore romano Edoardo Perino, le sue prime acerbe novelle, Sangue sardo e Remigia Helder e il primo romanzo, a puntate, Memorie di Fernanda. La sua attività letteraria è malvista dai parenti e in particolare dalla madre (“tutta casa e famiglia - vestita in costume, non esce mai”), vittima della chiusura intellettuale del capoluogo barbaricino: in alcune lettere la Deledda rivela di avere dovuto scrivere di nascosto, di essere stata bersaglio di lettere anonime, di aver subito delle pressioni dall’ostilità dell’ambiente circostante.

Tuttavia, seppure in sordina, persevera anche negli anni seguenti: collabora con diverse case editrici dell’isola e del continente e, servendosi una volta anche di pseudonimi esotici (Ilia di Saint Ismail o Aman della Rupe), scrive romanzi, novelle, racconti per l’infanzia e saggi, dedicati alle tradizioni popolari della Sardegna. Il romanzo La via del male, licenziato nel 1896 dall’editore Speirani di Torino, attira l’attenzione benevola della critica e in particolare Luigi Capuana mostra interesse per la sua opera, ma è il 1899 l’anno della svolta professionale e privata: con Il vecchio della montagna la Deledda inizia una proficua collaborazione con la prestigiosa rivista “Nuova Antologia”. Inoltre, durante un breve soggiorno a Cagliari, conosce Palmiro Madesani, impiegato al Ministero delle Finanze, e lo sposa dopo qualche mese.

Poco dopo il matrimonio, in seguito al trasferimento del marito, la coppia si stabilisce a Roma: la scrittrice vive nella Capitale fino alla morte, avvenuta nel 1936, e conduce una vita tranquilla e poco mondana, dedicandosi alla famiglia (ha due figli, Franz e Sardus), ma senza tuttavia trascurare la sua vocazione letteraria. Nel 1900, lo stesso anno del matrimonio, “Nuova Antologia” pubblica Elias Portolu, la prima delle opere della maturità della scrittrice. Nel trentennio successivo, soprattutto con l’editore milanese Treves, la feconda autrice pubblica circa un volume all’anno, un’attività frenetica che non rallenta nemmeno negli ultimissimi anni di vita e comprende opere di diverso valore letterario e saggistico, tra cui quello che è ritenuto da molti il suo capolavoro, Canne al vento (1913).

Nel 1926 a Grazia Deledda viene conferito il massimo riconoscimento a cui uno scrittore possa ambire, il premio Nobel, il secondo attribuito ad un poeta italiano, dopo Giosuè Carducci (1906). A tutt’oggi, è l’unica scrittrice italiana ad esserne stata insignita.

Nel 1936, dopo la scomparsa della scrittrice, Antonio Baldini cura per “Nuova Antologia” la pubblicazione postuma dell’ultimo romanzo incompiuto, di forte valenza autobiografica, scegliendo l’eloquente titolo Cosima, quasi Grazia. L’anno successivo Treves lo pubblicherà con il meno allusivo titolo di Cosima.

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